MUCCA PAZZA: SCOPERTA LA STRUTTURA DEI PRIONI

Il morbo di Creutzfeld - Jakob versione umana di quello della mucca pazza, nasconde ancora moltissime incognite: ma la scoperta dell'origine di questa malattia e' oggi più' vicina grazie alla decodificazione, annunciata da alcuni scienziati svizzeri, della struttura tridimensionale della proteinaprione.I prioni sono agenti di natura proteica presenti naturalmente nel cervello: secondo gli studiosi, possono pero' diventare patogeni e sono responsabili di alcune patologie degenerative del sistema nervoso in alcuni animali (come ad esempio la ''mucca pazza'' dei bovini) e nell'uomo della malattia di Creutzfeld-Jakob. Queste malattie provocano la degenerazione dei tessuti cerebrali e conducono senza scampo alla morte.Il lavoro, che ha sostenuto la ricerca, costituisce la base per ricerche future sulla struttura e sul funzionamento dei prioni umani.Il morbo di C-J e' conosciuto da diversi anni, e normalmente colpiva persone anziane. Negli ultimi anni, in coincidenza dell'apparire del morbo della mucca pazza, si sono manifestati alcuni casi del morbo anche in persone giovani. I nuovi studi si incentrano invece sulla parte di proteina che si presenta in modo differente negli uomini e negli animali: gli esperti sono convinti che queste aree possano essere legate alla trasformazione dei prioni in agenti patogeni e che possano essere utili per spiegare il morbo di Creutzfelb-Jakob.

Dall’inizio dell’anno  i bovini di età superiore ai 20 mesi sono stati sottoposti alle analisi per la Bse (encefalopatia spongiforme bovina) prima che la loro carne fosse finita nel circuito distributivo.  

In ogni caso i test sulla Bse non sembrano la soluzione finale per scongiurare il pericolo. Il test è in grado di rilevare la presenza della malattia solo da tre a sei mesi prima che si manifesti. Le parti a rischio dei bovini vengono comunque escluse dal commercio. Il test evidenzia se in un dato allevamento c'è una bestia malata e consente di trattare la sua carcassa con particolari precauzioni. Se però non si eseguono i test tempestivamente, la macellazione degli animali che hanno più di 20 mesi deve interrompersi. A metà degli anni ottanta nacque il sospetto che la malattia della mucca pazza fosse stata trasmessa ai bovini, e poi all'uomo, tramite le carcasse di pecore infettate dell'encefalopatia spongiforme, utilizzate per produrre farine animali.  I provvedimenti presi negli anni a seguire furono tardivi, come si è dimostrato di recente anche nel nostro paese. Ed è stato così che le industrie italiane hanno visto svanire il  mercato stimato di 730 miliardi l'anno e che dava lavoro a 200 aziende. Le più piccole hanno iniziato da dicembre ad  accumulare  farine che non potranno mai vendere, ma  settimana dopo settimana  anche quelle medie e  grandi hanno saturato la loro capacità di  stoccaggio. E giorno dopo giorno è sempre più difficile trovare  un'azienda che si accolli il materiale di scarto.

In Francia, anche  con problemi ben più gravi dei nostri, il  governo è stato più rapido ed efficace. La difficoltà è trovare  i magazzini per un prodotto così atipico. I problemi sono enormi  anche perchè le farine hanno un grande contenuto di grassi e i sacchi non possono essere accatastati, altrimenti si rischia l' autocombustione. Le farine, poi, sono deperibili e tendono a fermentare, diventando maleodoranti. E i problemi non finiscono qui: il bando sulle farine toglie dal mercato un integratore proteico necessario per l'alimentazione animale e che va sostituito. Nell'immediato l'unica soluzione è utilizzare farine di soia, che contengono il 50% di proteine. Ma questo ci consegna a tre paesi produttori: Usa, Argentina e Brasile.  Da quando si è pensato di proibire le farine animali però, la quotazione della soia è salita: in Europa si consumano circa trenta milioni di tonnellate l'anno di soia e se ne producono 1,8 milioni. L'Italia da sola ne produce 1,4 milioni che a malapena assicurano il 20% del fabbisogno interno. La sgradita sorpresa è che la soia importata dagli Usa è per il 70% transgenica, quella argentina lo è al 90% e quella brasiliana al 50%. La fobia italiana dei cibi transgenici ha risvolti paradossali: siamo caduti dalla padella nella brace. Dobbiamo quindi incrementare la produzione nazionale di erba medica, visto che quella di soia in Europa è contingentata. L'erba medica ha il 20% di proteine, ma costa meno. L'esperienza della mucca pazza insegna quindi che sull'argomento non è permessa alcuna improvvisazione, mentre le ultime settimane dimostrano che si è fatto l'esatto contrario.

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