PANE

Il pane si ottiene dalla farina di frumento per impastamento con l’acqua, lievitazione e cottura della pasta lievitata.

La farina di frumento è più adatta alla panificazione per la qualità e la quantità del glutine, ma si possono impegnare anche farine di altri cereali o miscele di esse con quella del frumento, ottenendo in questi casi un prodotto meno pregiato e che può essere commercializzato con l’aggiunta alla denominazione di "pane" del nome del cereale da cui proviene la farina mescolata a quella del frumento. L’impastamento della farina si fa con acqua tiepida rimescolando la massa fino ad avere una pasta omogenea. Nel corso di questa operazione si aggiunge il lievito stemperato in acqua ed eventualmente il sale. Nella preparazione casalinga del pane il lievito è costituito da una certa quantità di pasta conservata da una preparazione precedente, e contenente perciò quegli enzimi che determinano la fermentazione panaria (lievito naturale). Nei panifici si usa il lievito di birra (lievito selezionato), che viene ugualmente stemperato in acqua e mescolato con la farina. Il lievito di birra è chiamato così perché serve anche nella preparazione di questa bevanda, si ottiene dalla cottura di Saccaromyces cerevisiae e si vende in forma pressata, di odore caratteristico e di colore avena; si deve conservare in ambiente fresco.

E’ permesso ai fornai di aggiungere alla farina oltre al lievito ed al sale:

Farine provenienti da cereali maltati che abbiano un potere diastasico, determinato secondo il metodo Pollack non inferiore a 6500 unità su sostanza secca.

Estratti di malto che abbiano un potere diastatico, determinato secondo il metodo Pallack, non inferiore a 4500 unità.

Alfa-amilasi e beta-amilasi

In sostituzione del lievito, soprattutto nelle preparazioni dolciarie, vengono usati i così detti lieviti artificiali, capaci di svolgere notevole qualità di gas (bicarbonato di sodio e cremore di tartaro, carbonato ammonico,…) provocando così il rigonfiamento della pasta; in questa maniera però non si conseguono tutte quelle trasformazioni enzimatiche che si verificano con i lieviti veri e propri, pertanto quelli artificiali non sono ammessi per la preparazione del pane.

La lavorazione dell’impasto, a cui è stato aggiunto il lievito ed eventualmente il sale e altri prodotti nominati, viene effettuata in apposite impastatrici meccaniche, che possono lavorare 1-2 quintali di farina, e richiede circa 20’. Si lascia poi lievitare in ambienti a temperatura e umidità controllata per circa due ore, si rimescola di nuovo e si fa lievitare ancora un’ora. L’impasto viene diviso in frazioni di grandezza desiderata, che vengono modellati e tenuti per 40-45’ in riposo in ambiente tiepido, prima dell’infornamento.

Durante l’impastamento la gliadina si unisce con la glutenina per formare il glutine, il quale conferisce alla pasta la quella tenacità necessaria per trattenere quei gas che si formano con la lievitazione. L’amido infatti subisce la scissione omolitica, ad opera della diastasi, ed in piccola parte si trasforma in glucosio: quest’ultimo, per fermentazione alcolica, produce anidride carbonica che, trattenuta dalla trama del glutine, fa rigonfiare la pasta. Nello stesso tempo si formano piccole quantità di acidi volatili ed altre sostanze che forniscono l’aroma.

Il glutine diventa forte ed estensibile in un primo tempo per la idratazione ed i vari cambiamenti chimici- fisici a carico delle proteine; in un secondo tempo viene attaccato ed in parte idrolizzato, per cui la massa diventa meno tenace. Per questo motivo non conviene protrarre troppo a lungo la lievitazione altrimenti la pasta perde la sua tenacità, lascia uscire i gas e si schiaccia. Pertanto al giusto grado di lievitazione, si introducono i pezzi in forno già scaldato a 200-220°C e si procede alla cottura. A causa della temperatura elevata, gli enzimi vengono inattivati, la maggior parte delle sostanze gassose o volatili (anidride carbonica, acqua, alcool) vengono eliminate; alla superficie delle pagnotte le sostanze proteiche coagulano e si uniscono tenacemente all’amido ed alle destrine formando la crosta. L’amido alla superficie si trasforma in destrina ed in parte caramellizza, colora in giallo- bruno la crosta e dà l’odore aromatico caratteristico.

La parte interna dei pani, detta mollica, raggiunge la temperatura di 100-102°C , perde meno acqua e non diventa dura come la parte esterna. La composizione chimica del pane dipende dalla qualità della farina adoperata nella sua preparazione; se la farina era scadente il pane contiene più cellulosa e più sostanze minerali.

La denominazione del pane si identifica con quella delle farine usate, per cui si ha un pane di tipo 00, 0, 1, 2, e pane di tipo integrale.

Il contenuto di acqua nel pane è notevolmente maggiore rispetto a quella della farina, in quanto l’acqua impiegata nelle operazioni di impastamento solo in parte si elimina durante la cottura del pane. Il glutine non è più separabile. L’acidità del pane è maggiore di quella farina iniziale, perché durante la lievitazione si sono formate piccole quantità di acido acetico e lattosio.

Quando il pane viene conservato, la mollica indurisce e diventa friabile, perciò il pane diventa raffermo. Questa trasformazione non deriva dalla perdita di acqua perché il pane raffermo, se scaldato di nuovo a 70-80°C riacquista il sapore e l’elasticità del pane fresco. Sembra che durante l’invecchiamento, la salda si trasformi in amido e che il riscaldamento a 70-80°C provochi poi la modificazione inversa.

Per la conservazione del pane in involucri plastici è permessa l’aggiunta dell’acido ascorbico e dei suoi sali di sodio, potassio e calcio nella quantità di 2000 mg/Kg.

L’adulterazione più frequente del pane è rappresentata da un contenuto troppo elevato di acqua per cottura incompleta. Per conservare più a lungo il pane si aggiungono tensioattivi, che influenzano le proprietà fisiche dell’impasto; l’aggiunta di queste sostanze è vietata.


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